Filologia e filatelia

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Articolo di Angelo Luceri, tratto da Divus Angelus http://www.divusangelus.it/filatelia/filatelia.htm

"Il francobollo è propagatore di notizie, legame tra famiglie lontane, messaggero tra gli amici, conforto nella solitudine, veicolo di commercio e d’industria, elemento di progresso umano, promotore di fraternità, di pace, di buona volontà fra gli uomini e le nazioni"

(da un’iscrizione del palazzo delle poste di Washington).

Quando la filatelia "non fa i conti" con la filologia

(emissioni ed omissioni nella storia dei francobolli dedicati ai classici) di Angelo Luceri

Era il 1° Giugno 1850 quando le poste del Lombardo - Veneto emettevano il primo francobollo circolato in Italia, seguendo l’esempio della riforma inglese (1840) che con l’introduzione di una nuova tassazione intendeva combattere i frequenti abusi a danno dei servizi postali: la penisola italiana era allora disseminata di regni e ducati, i principi erano considerati tali per grazia divina, e l’arretratezza imperava tra i più proprio come le aquile asburgiche, effigiate trionfanti sui primi esemplari in circolazione nel nostro paese; qualche tempo dopo, il 15 novembre 1864, sulla rivista parigina Le collectionneur de timbres-poste il giornalista Georges Herpin, in sostituzione di timbromania, coniava la parola filatelia, utilizzando i vocaboli greci fìlos ("amico") e atéleia ("esenzione dall’imposta", immunitas per i latini), termine quest’ultimo che indicava proprio il francobollo, dal momento che la sua applicazione sulla corrispondenza lo fa viaggiare "in franchigia", essendo il porto già pagato.

Se fin dalle radici etimologiche l’amicizia per il francobollo ha così un debito con la filologia, il presente articolo ha la modesta pretesa di illustrare il loro non troppo idilliaco rapporto nelle emissioni dello Stato Italiano[1], della Città del Vaticano e della Repubblica di San Marino che hanno avuto per soggetto luoghi, eventi e personaggi del mondo classico (in stragrande maggioranza, vedremo, latini più che greci): quasi 150 anni di storia attraverso i quali il francobollo, usato in origine come semplice forma di pagamento della tassa postale e divenuto nel tempo mezzo di celebrazione, si è trasformato ora in efficace strumento di sapere, ora persino in veicolo di propaganda politica.

Le Poste Vaticane, Sanmarinesi ma soprattutto le Poste Italiane non hanno dimenticato di commemorare i diversi personaggi della classicità che hanno contribuito all’arricchimento del patrimonio culturale del proprio popolo, tuttavia molto spesso sono incorse in errori "filologici" tanto sconcertanti quanto più banali; in Italia, ad esempio, dalle retoriche e strumentalizzate rievocazioni del "classicismo di cartapesta" fascista si è passati alle sobrie celebrazioni della Repubblica, con l’unico denominatore comune di accompagnare una scarsa precisione filologica ad emissioni graficamente ineccepibili e per la verità assai eleganti.

Alle rimostranze del lettore che ritenga pedanti le nostre ricerche di filologi vorremmo rispondere con l’ironia che la leggerezza dell’argomento forse richiede: un francobollo non ha certo la pretesa di essere un’edizione critica, tuttavia se si considera che il collezionismo filatelico ha tra i suoi scopi quello di fornire con abbondanza nozioni utili ed interessanti indicazioni sulle vicende e il progresso dei vari popoli in tutti i campi delle conoscenze umane, non ci sembra frutto di un ozioso "pascolare tra i libri" (Ath. 1, 22d) la constatazione che alcuni francobolli sono "sbagliati", intendendo indicare con tale attributo "quella carta valore postale che presenta errori nella dicitura o nel disegno, tali da falsare la verità o da offendere la logica e la ortografia"[2].

Le emissioni italiane sono piene di francobolli sbagliati, ma quelle dedicate a personaggi vissuti prima di Cristo presentano, oltre a volute omissioni [3], inesattezze a volte stucchevoli. Se si considera che un francobollo nasce solo dopo un attento esame da parte di una commissione di esperti, una svista sicuramente grave consiste nel celebrare nell’anno sbagliato il bimillenario di una particolare ricorrenza quale la nascita (o la morte) di un personaggio vissuto a cavallo della venuta al mondo di Cristo, posta tradizionalmente in un anno (l’anno 0 appunto) che, non essendo in realtà mai esistito, non dovrebbe essere calcolato[4].

La possibilità che il computo dell’anno 0 costituisca una convenzione filatelica non giustifica l’errore, in quanto diverse volte viene invece seguito quello che riteniamo essere il giusto calcolo (così il bimillenario della morte di Orazio, avvenuta nell’8 a. C., è stato correttamente commemorato nel 1993).

La commemorazione di Virgilio nel 1930

L’imprecisione si verifica già nei valori dedicati a Virgilio, il quale ebbe l’onore di essere il primo autore classico celebrato, dal momento che il 21 ottobre 1930 le Poste dell’allora Regno d’Italia ne commemorarono il bimillenario della nascita (avvenuta ad Andes nel 70 a. C.) [5]: l’emissione, i cui soggetti illustrano i versi del poeta augusteo, apprezzato principalmente per essere, nell’accezione imperialistica del regime, l’immortale cantore dell’eterna gloria dell’Impero di Roma[6], si presenta assai solenne (ben nove valori diversi) ma con alcune inesattezze filologiche, in particolare:

  • Il val. da c. 15 reca nella didascalia il verso ecce tibi Ausoniae tellus hanc arripe velis (Aen. 3, 477) eppure i due protagonisti dell’episodio Eleno ed Anchise sono colti non già nell’atto di conversare ma mentre si atteggiano in un saluto romano chiaramente propagandistico

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  • Nel val. da c. 25 Enea rivolge il suo saluto all’Italia: la citazione è imperfetta, perché ciò che si legge è soltanto una parte di Aen. 7, 120-2 continuo SALVE FATIS MIHI DEBITA TELLVS / vosque ait o fidi Troiae salvete Penates / HIC DOMVS HAEC PATRIA EST. Genitor mihi / talia namque, essendo soppressa la "superflua" invocazione ai Penati.

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La serie virgiliana (in cui le altre emissioni appaiono esenti da errori[7]), pur celebrando in anticipo il bimillenario della nascita del poeta, per il suo forte messaggio propagandistico dovette risultare molto cara al regime, tanto che successivamente ne venne dato valido corso, con la rispettiva sovrastampa, anche in Cirenaica, in Tripolitania, e nelle isole dell’Egeo sotto influenza italiana.

Decennale della marcia su Roma

Del resto tutti i temi della pubblicistica fascista ricompaiono puntualmente e in modo esplicito nella serie del 1932 celebrativa del decennale della marcia su Roma; una curiosità: nel val. da L. 5 + 2, 50 sullo sfondo di un’arena compare Giulio Cesare, mentre la didascalia "Antiche vestigia - Nuovi auspici" è il manifesto dell’esasperato classicismo dell’epoca [8], che, "latinizzando" all’eccesso, crea un monstrum come l’improbabile motto volare necesse est nel valore da c. 75 della stessa serie.

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Orazio

In tale temperie culturale il 1° Luglio 1936 veniva celebrato (stavolta correttamente) il bimillenario della nascita di Orazio (avvenuta nel 65 a. C.), tuttavia anche la serie dedicata al poeta di Venosa (ben 11 valori tra cui 4 di Posta aerea) non fu esente da errori: in particolare desta perplessità il val. da c. 50, per la scelta davvero singolare di presentare il poeta ritratto su un medaglione conservato al museo di Cracovia, in cui l’iscrizione chiaramente tarda (in un’epoca in cui l’aspirazione iniziale non era più percepita) lo chiama ORATIVS, con una grafia che, lontana dalla norma classica, ne corrompe discutibilmente il nome [9].

Non meno scorretta appare la citazione nel val. da L. 1, 75 + 1, 00 in cui, sotto l’immagine di un fauno che suona la siringa su un ceppo, le parole di Carm. 1, 1, 29 sono riportate in maniera assolutamente divergente dalla più attestata tradizione: anziché me doctarum hederae praemia frontium troviamo infatti la lezione me doctarum ederae proemia frontium, sicura trivializzazione grafica del testo oraziano.

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Le commemorazioni di Augusto

Oltre a questa serie (che, va detto, si presenta corretta negli altri valori[10]), in onore del poeta venusino sono da annoverare anche i valori di Posta aerea [11], per quanto il personaggio più amato dalle Poste Italiane fosse in quegli anni Augusto, celebrato con una serie tra le più solenni (ben 15 francobolli tra valori ordinari e di Posta aerea) che avrebbe dovuto costituire il fiore all’occhiello della filatelia italiana, al punto che persino il primo giorno di emissione coincise con il dies natalis dell’imperatore (23 settembre): nato nel 63 a. C., Augusto avrebbe avuto il suo bimillenario di nascita soltanto nel 1938, ma il desiderio di mostrare la faccia aggressiva del regime, in coincidenza con le nuove spinte imperialistiche dell’Italia, suggerirono di magnificare quanto prima l’evento[12], così che una seconda corretta celebrazione fu affidata l’anno seguente a due valori[13] emessi con imbarazzo nella sola Africa Orientale Italiana.

Nella serie del bimillenario augusteo compaiono soggetti che illustrano brani delle Res Gestae Divi Augusti: le citazioni del testo sono spesso incomplete e nella maggior parte dei casi si discostano dalla ricostruzione fatta dai filologi, con tagli arbitrari e cesure accortamente studiate a fini politici e propagandistici dal celeberrimo Min. Cul. Pop., accorto nel mettere in evidenza i temi che il principe aveva enumerato con grande capacità persuasiva, come:

  1. La pacificazione dei mari nel val. da c. 10 (in 4, 1 si legge MARE PACAVI a praedonibus ma, per esaltare ancor di più la forza della nostra Marina Militare, si omise la seconda parte a praedonibus, rendendo assoluta l’opera di controllo sui mari).
  2. Le guerre vittoriose per mare e per terra (BELLA TERRA ET MARI c[ivilia exter]naque TOTO IN ORBE TERRARVM S[AEPE GESSI] VICTORQVE OMNIBVS in 1, 13-4) nel val. da c. 15.
  3. La pietas di Augusto nel val. da c. 20 (Duo et octaginta TEMPLA DEVM IN VRBE consul sex[tum et auctoritate] senatus REFECI in 4, 17-8) con una curiosa particolarità: l’imperatore vi compare ritratto in veste di Pontefice Massimo col capo velato nella statua detta "di Via Labicana" (Museo Nazionale Romano); tale scultura, notoriamente mutila, nella vignetta riacquista "miracolosamente" il braccio destro.
  4. Il censimento della popolazione ricordato nel val. da c. 25 (Et in consulato sexto CENSVM POPVLI conlega M. Agrippa EGI in 2, 2) con riferimento alla nascita di Gesù Cristo, per cui sotto la croce vengono citate le parole di Virgilio iam nova progenies caelo demittitur alto (Ecl. 4, 7), secondo l’inveterata interpretazione cristiana.
  5. Il fatto che Augusto sia considerato continuatore dell’astro di Cesare (Iulium Sidus), raffigurato nel val. da c. 30 nella sfruttatissima posa della statua di età traianea (Roma, Palazzo Senatorio), con il commento di 4, 13-4 coepta profligataque opera a patre meo perfeci.
  6. L’acclamazione ad imperatore, celebrata nel val. da c. 50, sempre con le parole di Augusto IVRAVIT IN MEA VERBA TOTA ITALIA sponte sua ET ME DVCEM DEPOPOSCIT (4, 3) quale didascalia della statua loricata di Prima Porta.
  7. La conquista dell’Etiopia (ancora una somiglianza tra i due...imperi), esaltata nel val. da c. 75 dalle parole MEO IVSSV ET AVSPICIO DVCTI SVNT [duo] EXERCITVS eodem fere tempore IN AETHIOPIAM et in Arabiam (5, 18-9) con l’accorta eliminazione della spedizione in Arabia (dove il fascismo non era certo arrivato); l’erma ritratta è di Ottaviano giovinetto (testa marmorea conservata agli Uffizi).
  8. L’organizzazione di una flotta efficiente e padrona dei mari, come sottolinea il val. da L. 1, 25 con le parole CLASSIS MEA PER OCEANVM (...) navigavit (5, 14).
  9. La costruzione dell’Ara Pacis, ricordata nel val. da L. 1, 75 + 1 ARAM [PACIS A]V[G]VST[AE SENATVS PRO] REDI[T]V MEO CON[SACRANDAM CENSVIT] ad Campum Martium (2, 38-9).
  10. La deposizione del lauro in Campidoglio, atto di grande valore simbolico, rievocato nel val. da L. 2, 55 + 2 che chiude la serie con le parole L[AVRVM DE FASCIB]VS DEPOSVI IN CAPITOLIO VOTIS quae quoque bello nuncu[paveram SOLV]TIS (1, 23-4).

Nei valori di Posta aerea sempre dedicati ad Augusto bellissime immagini tratte dai rilievi dell’Ara Pacis Augustae[14] illustrano alcuni versi di Orazio[15], testimone luminoso e sincero della sua epoca anche in quegli accenti della poesia civile parsi ai moderni meno spontanei e ispirati: unica eccezione è il val. da L. 1 + 1 nel quale sono raffigurati i domini di Roma, evocati dalle parole che Venere rivolge a Giove in Aen. 1, 236, in cui con un errore di trascrizione davvero clamoroso si legge qui mare qui terras omni ditione tenerent (la parola dicione è stata sostituita dal mai attestato ditione!).

Vittorio Emanuele imperatore

Per essere degnamente accostato, come sui francobolli della serie imperiale, a Giulio Cesare e ad Augusto, a Vittorio Emanuele III mancava il titolo di Imperatore che gli venne il 9 maggio 1936 con la conquista dell’Etiopia (anche se le operazioni di occupazione durarono fino al febbraio 1937): nell’ultima grande serie del ventennio, la retorica fascista riscriveva la storia d’Italia da Romolo (presentato nell’atto di fondare la città "tracciando il segno dell’infallibile destino") ad Augusto (ancora una volta nella veste loricata di Prima Porta, celebrato in virtù della "coordinazione di tutte le forze, sotto gli ordini di un solo") fino alle vicende del nuovo Impero, siglate con enfasi da una particolare sfraghìs, la M di Mussolini.

Le vittorie tedesche in Danimarca, Francia e Norvegia convinsero il duce all’intervento bellico (10 giugno 1940), nella certezza che il conflitto sarebbe stato breve e fruttuoso per l’Italia: i motti guerreschi riempiono francobolli e cartoline postali ed anche il bimillenario della nascita di Tito Livio (59 a. C.), ancora una volta erroneamente celebrato in anticipo (le emissioni sono del 13/12/1941), diventa motivo di propaganda bellica, con enunciati che inneggiano alla guerra; nel val. da c. 20 + 10 la frase ne quod toto orbe terrarum iniustum imperium sit in 33, 33, 7 (dove si sta parlando delle conseguenze della libertà donata alla Grecia da T. Q. Flaminino ai Giochi Istmici del 196 a. C.) illustra una scena di combattimento tra romani e barbari da un bassorilievo dell’arco di Costantino che c’entra ben poco con quanto affermato nella didascalia, mentre l’affermazione iustum est bellum quibus necessarium (si tratta di Liv. 9, 1, 10, passo in cui C. Ponzio figlio di Erennio nel 321 a. C. si rivolge ai Sanniti per esortarli alla guerra) commenta le azioni di due guerrieri romani (ancora dall’arco di Costantino e ancora senza attinenza con la citazione, da cui nel val. da c. 50 + 25 scompare l’inopportuno vocativo Samnites).

Articolo di Angelo Luceri, tratto da Divus Angelus http://www.divusangelus.it/filatelia/filatelia.htm

Voci correlate

Note

  1. Comprendiamo in tal senso gli antichi Ducati e il Regno d’Italia, la Repubblica Sociale, le Colonie ed infine la Repubblica Italiana, in un periodo compreso tra il 1850 ed il 1999, in cui sono stati emessi complessivamente ben oltre 5000 valori.
  2. IG. N. SERNERI, Francobolli sbagliati in Enciclopedia dei francobolli, a c. di F. Apollonio vol. I, Firenze 1968.
  3. Tra queste sono compresi tutti quei tagli arbitrari fatti ad una citazione di un determinato autore, spesso per motivi propagandistici, a volte semplicemente per motivi di spazio. Per comodità d’ora in poi, citando un autore, segnaleremo in caratteri maiuscoli quella parte di testo entrata effettivamente nella didascalia, spiegando a seconda dei casi i motivi che hanno prodotto il taglio.
  4. L’era cristiana o dionisiana, la cui adozione, estremamente diffusa, è attestata dalla frequente denominazione di "nostra era", risale a Dionigi il Piccolo, monaco scita che la introdusse nel VI sec. d. C., traducendo le tavole pasquali di Cirillo d’Alessandria e ponendo la nascita di Cristo al 25 Dicembre dell’anno 753 dalla fondazione di Roma con uno scarto, peraltro, di 4-5 anni. Nel computo dionisiano all’anno 1 a. C. segue immediatamente l’1 d. C.
  5. Per l’importante valore ideologico della celebrazione, fortemente voluta dal duce in persona , vd. L. CANFORA in Enc. Virg. II s. v. Fascismo, pp. 469-72, Roma 1983. Tra le iniziative filologiche connesse al bimillenario merita un cenno la splendida edizione virgiliana approntata in quell’anno da R. Sabbadini.
  6. Per questo con enfasi dichiaratamente nazionalistica tutti i valori rievocano, senza citazione della fonte, le parole dell’oracolo di Febo ricevuto dai Troiani in Aen. 3, 96 antiquam exquirite matrem.
  7. Nel val. da c. 20 compaiono le parole di Anchise tu regere imperio populos Romane memento (Aen. 6, 851); il vecchio è seduto sul colle donde scorge le glorie di Roma, con al suo fianco Enea. Nel francobollo da c. 30 il verso salve magna parens frugum Saturnia tellus (Georg. 2, 173) funge da didascalia all’allegoria della madre terra splendidamente rappresentata in un rilievo dell’Ara Pacis Augustae; il val. da c. 50 esalta il bene degli agricoltori impegnati nella mietitura con le parole di Georg. 2, 458-9 o fortunatos nimium sua si bona norint / agricolas (la didascalia raffigura dei coloni che ricordano assai da vicino i braccianti italiani impegnati nella celeberrima "battaglia del grano" conclusasi con discreti risultati proprio in quegli anni), mentre l’elogio della vita familiare è espresso nel val. da c. 75 attraverso Georg. 2, 523 interea dulces pendent circum ocula nati. Nel val. da L. 1, 25 le parole di Aen. 3, 524 Italiae laeto socii clamore salutant commentano invece la vignetta che mostra Acate nell’atto di salutare l’italico suolo, laddove l’allegoria del focolare è suggellata nel val. da L. 5 + 1, 50 da Ecl. 7, 49 hic focus et taedae pingues hic plurimus ignis, parole pronunciate da Tirsi nel canto amebeo con Coridone. Chiude la serie Aen. 11, 419 sin et opes nobis et adhuc intacta iuventus, nell’invocazione rivolta da Turno ai compagni prima dello scontro con i Troiani.
  8. Questo fece sì che nei francobolli anziché monumenti, opere d’arte e vedute, entrassero diverse tematiche tese ad esaltare l’italianità e la romanità, tra cui la lupa di Roma e gli antichi miti di Pegaso e della Vittoria, presenti nella cosiddetta "Serie Imperiale" che vide la luce in vari momenti tra il 1929 e il 1942; l’Impero veniva invece incensato attraverso la glorificazione dei suoi fondatori Giulio Cesare ed Augusto, praticamente onnipresenti e raffigurati quasi sempre, il primo, nella posa del monumento di età traianea conservato a Roma (Palazzo Senatorio), il secondo, in quella della celebre statua loricata di Prima Porta (I sec. a.C. - Musei Vaticani): non è un caso che i primi due Cesari siano gli unici due personaggi del mondo classico presenti su cartamoneta in tutta la storia della Banca d’Italia, nei circolatissimi biglietti di stato (rispettivamente da L. 1 e L. 2) a loro dedicati nel 1939. Sorprende comunque che degli imperatori, il primo in assoluto ad essere stato celebrato nella storia filatelica sia stato il mite Claudio, effigiato in un valore da c. 50, emesso dalle Poste Coloniali il 17/2/1934, in occasione della VIII fiera campionaria di Tripoli: in esso il successore di Caligola viene ritratto con la corona civica, così come compare in una celebre statua rinvenuta a Leptis Magna.
  9. Le parole della didascalia non omnis moriar sono invece di Carm. 3, 30, 6.
  10. Il val. da c. 10 ha come tema l’esaltazione della terra, fertilis frugum pecorisque tellus (Carm. Saec. 29), mentre nel val. da c. 20 un quadro primaverile illustra Carm. 4, 7, 1 Diffugere nives, redeunt iam gramina campis, inizio dell’ode dedicata a Torquato che invita a non illudersi sull’immortalità. L’accorta saggezza della gente italica è protagonista del val. da c. 30, in cui la vitalità dell’eroe è tale che impavidum ferient ruinae (Carm. 3, 3, 8), incrollabile nel proposito di riportare Roma sul tetto del mondo, come nell’augurio che troviamo espresso nel val. da c. 75 con le parole stet Capitolium / fulgens (Carm. 3, 3, 42-3). Chiude la serie il val. da L. 2, 55 + 1, 00 in cui la propaganda bellicista raggiunge il culmine con il parenetico (e più o meno opinabile) motto dulce et decorum est pro patria mori (Carm. 3, 2, 13).
  11. In quello da c. 25 un suggestivo accoppiamento: i versi oraziani expertus vacuum Daedalus / aera pinnis non homini datis (Carm. 1, 3, 34-5) sembrano sottolineare le grandi imprese aviatorie di quegli anni, vanto dell’Aeronautica italiana (non a caso è raffigurato un idrovolante, il mezzo che più volte tra 1929 e 1933 aveva portato Italo Balbo a sensazionali crociere collettive che ebbero vasta risonanza). Un aereo in volo su una valle "solitaria" (presumibilmente quella dell’Aniene, considerato che i versi citati appartengono ad un’ode che il poeta immagina di indirizzare a Tindari dalla sua villa nei pressi dell’odierna Licenza) nel val. da c. 50 fa invece da commento al verso hic in reducta valle (Carm. 1, 17, 17). Un leccio campeggia sul val. da c. 60, illustrando il duris ut ilex di Carm. 4, 4, 57, citazione incompleta e priva di senso se non si aggiunge il restante emistichio tonsa bipennis. Ancora una volta, nel val. da L. 5 + 2, su una veduta del Foro Romano compare la frase nihil urbe Roma visere maius (Carm. Saec. 11-2), versi che ebbero grande successo nell’ottica di esaltazione della romanità per un regime che, almeno a parole, si sentiva assai vicino a quello inaugurato da Augusto.
  12. Nello stesso anno 1937 (e con grande precisione sempre nel giorno di nascita di Augusto, il 23 settembre) usciva in Italia a cura di Concetta Barini l’edizione critica delle Res gestae divi Augusti voluta, come si legge nel frontespizio, iussu Beniti Mussolini [...] in Augusti natalem bis millesimum.
  13. Nel val. da c. 5 ancora una volta compare l’Augusto loricato "di Prima Porta" (anche se ritratto da una angolazione insolita), mentre nel val. da c. 10 c’è la Vittoria, altra icona cara al regime.
  14. L’altare, testimonianza eccelsa dell’arte scultorea del periodo fu innalzato nel Campo Marzio dal senato romano nel 9 a. C., a ricordo della pax instaurata dal principe.
  15. Nel val. da c. 25 le parole sono di Carm. 4, 15, 4-5 tua Caesar aetas fruges et agris rettulit uberes, a commento dell’allegorica rappresentazione della fertilità; nel val. da c. 50 la processione dei familiari dell’imperatore è commentata da Carm. Saec. 47-8 Romulae genti date remque prolemque et decus omne, mentre nel val. da L. 5 + 1 il giovane Ottaviano è tutela praesens Italiae dominaeque Romae (Carm. 4, 14, 43).